Tavecchio, altro scivolone. Ma il problema non è solo lui
L'editoriale del direttore Andrea Monti dopo l'ultima gaffe del presidente della Figc su ebrei e omosessuali
Rieccolo, Carlo Tavecchio. E rieccoci noi, con le ultime riserve di
compassione, a cercare un perché che non sia dannante almeno dal punto
di vista umano all’ennesima frana di parole sbagliate e pesanti come
pietre con cui il presidente della Federcalcio rischia di seppellire se
stesso. Rieccoci, in compagnia di Opti Pobà, a soppesare il testo e il
contesto del suo discorso nella speranza di poterlo collocare al di qua
dell’impalpabile linea d’ombra che separa la ciarla sgangherata dalla
discriminazione odiosa di genere e di razza. Tutto questo, naturalmente,
riguarda l’uomo Tavecchio. Perché al Tavecchio presidente, a meno di
improbabili impennate della politica, non accadrà proprio nulla. Un po’
per il delirio d’immobilità in cui è precipitato il mondo del calcio. Un
po’ perché, almeno da noi, a certe sortite si fa l’abitudine.
l'intervista —
Nelle esternazioni pubbliche e private di Tavecchio c’è un indubbio filo
conduttore che riporta ai bar di provincia, alle discussioni animate da
un calice di troppo, ai pregiudizi istintivi contro ogni diversità più
che a giudizi politici radicati, anche se non per questo meno
pericolosi. Ma nell’ultimo capitolo dei TavecchioLeaks, siamo sinceri,
si ravvisa anche un forte odore di trappolone. Il giornalista parla di
"ore d’intervista", la vittima di una conversazione rubata nell’ambito
di un tentativo di ricatto. Certo il suo interlocutore inziga,
suggerisce, va a cercare lo scivolone propiziandolo perfino con una
citazione di Umberto Eco (chi era costui?). Ma lo sventurato,
manzonianamente parlando, risponde. Non rendendosi conto che Ponte
Milvio non è Ponte Lambro, e la fanghiglia del Tevere ha inghiottito
nuotatori ben più scafati di lui.
Elezioni —
Anche se potrebbe essere il frutto di una imperdonabile scorrettezza,
l’eco della conversazione rivelata dal Corriere è forte. Parlamentari e
sportivi si dividono con una maggioranza di indignados,
ed è insolitamente divaricato pure il giudizio della comunità ebraica
(colpevolista) e dell’ambasciata israeliana ("ci ha aiutato con
coraggio"). Ma i vertici del calcio, dello sport e della politica, per
ora almeno, non intervengono. Personalmente credo che Tavecchio riuscirà
a conservare la sua poltrona nelle prossime settimane e per l’anno che
lo separa dalla scadenza del mandato. Il sospetto è che in questa
situazione, un presidente ridotto a un’anatra zoppa potrebbe far comodo a
tutti. La sua annunciata candidatura alla rielezione, invece, risulta
compromessa oltre che, per gran parte della pubblica opinione,
inopportuna. Ma alle elezioni manca più di un anno, e in un anno si
sa...
debolezza —
Ciò detto, pensare che il problema sia solo la rappresentatività,
all’interno e all’estero, di un presidente che per primi avevamo
chiaramente avversato (riconoscendone però, com’è giusto, le azioni
positive) è guardare al dito ignorando la volta celeste - non la cupola
per carità - che indica. Quest’ultimo capitolo del noir pallonaro
nazionale, insieme all’inchiesta su Infront e su alcune squadre di Serie
A, rivela l’infinita debolezza delle istituzioni che governano il
nostro sport più popolare a tutti i livelli. Delle leggi che ne regolano
il funzionamento, i bilanci e le rappresentanze. L’asse di potere e di
interessi che da anni mantiene il pieno possesso palla nei nostri
campionati ha il fiatone e si sta incartando da solo. Ma è improbabile
che spinga il suo autolesionismo all’illusione di riformare se stesso.
Da questa crisi infinita si esce soltanto con un’azione concertata tra
lo sport e la politica. In soldoni, una riforma radicale del quadro
normativo che impedisca i conflitti di interesse e garantisca al nostro
calcio indebitato la trasparenza, la governance e la managerialità di
cui ha bisogno per tornare a vincere. E ad appassionare noi che lo
amiamo.
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