
Un copione da 007, una spy-story, quasi un
fumettone: le 324 pagine del “Report finale” della Commissione
indipendente dell’agenzia mondiale antidoping che, divise in 23
capitoli, lunedì hanno stravolto il mondo dello sport (e non solo
quello), portano a galla intrighi e coperture, contengono clamorose
rivelazioni e regalano colpi di scena degni di un giallo d’autore.
Quello condotto dal 73enne canadese Dick Pound e dalla sua squadra è un
lavoro minuzioso, dettagliatissimo, enciclopedico, terminato in soli
sei mesi (dal 10 febbraio al 9 novembre), partendo praticamente da
zero. Anzi, dalle denunce di un grande inchiesta giornalistica firmata
da Hajo Seppelt e proposta in dicembre dal canale televisivo tedesco
Ard. E’ la sintesi di testimonianze dirette e indirette, di documenti
secretati e di prove riservate. Nel giro di ventiquattro ore ha già
portato ad alcuni risultati concreti: ieri mattina la Wada, accogliendo
la richiesta della Commissione, ha sospeso l’accredito al proprio
Laboratorio di Mosca, responsabile dei controlli di oltre venti
discipline. Il direttore, Grigory Rodchenkov, poche ore più tardi, come
annunciato dal ministro dello sport russo Vitaly Mutko, si è dimesso
dall’incarico.
LABORATORIO FANTASMA —
L’inchiesta scoperchia una realtà che si credeva lontana, se non morta e
sepolta: quella del sistema sovietico anni Settanta-Ottanta. Non c’è il
Kgb, ma ci sono i nuovi servizi segreti della Fsb. La sostanza è
(quasi) la stessa. Proprio quanto accaduto nei laboratori antidoping di
Mosca (e di Sochi, durante l’Olimpiade invernale 2014), pare sia la
trama di un film. C’è quello della capitale, uno dei trentadue
accreditati Wada sparsi per il mondo e – ha scoperto la commissione
Pound, arrivando a interrogare il relativo personale – ce n’è un
secondo, sempre in città, all’apparenza fornito delle stesse avanzate
tecnologie necessarie per effettuare i test. E’ noto come “Laboratorio
della commissione dello sport moscovita per l’identificazione di
sostanze proibite nelle provette degli atleti”. E’ gestito da autorità
comunali ed è situato in una zona industriale periferica, a circa 10 km
dal centro. Il direttore è stato identificato nel georgiano Giorgi
Gezhanishvili: sotto le sue direttive opererebbero almeno sei persone.
Con il Laboratorio Wada, teoricamente, non avrebbe rapporti. In realtà –
ecco l’inghippo – potendo operare con regole diverse, sarebbe
utilizzato per identificare in prima battuta gli atleti positivi ai
controlli (delle urine) o comunque gli atleti in odore di positività.
Atleti i cui esami, naturalmente (“coperti”, nascosti o spariti), non
approdano mai all’altro Laboratorio. Dove invece arrivano regolarmente
quelli “puliti”.

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